Terra di Simplipam

Il regno a mia immagine e somiglianza.

venerdì 29 agosto 2008

Lo zucchero

Le più note fonti di saccarosio a livello mondiale sono la barbabietola e la canna da zucchero. Per rendersene conto è sufficiente recarsi in qualsiasi bar che si rispetti ed osservare le bustine contenenti i vari dolcificanti. Oltre al classico zucchero da cucina e ai derivati artificiali, troveremo con tutta probabilità delle bustine contenenti zucchero di canna, che rispetto al più tradizionale "saccarosio bianco" gode di una migliore reputazione. A differenza di quello di barbabietola, lo zucchero di canna è infatti ritenuto più salutare, perché meno calorico e più ricco di minerali. Per capire quanto queste credenze siano veritiere, occorre analizzare brevemente il percorso che lo zucchero compie, dalla coltivazione della fonte vegetale da cui è ricavato, fino alle nostre tavole.
Estrazione dello zucchero dalla canna
La canna da zucchero (Saccharum officinarum) è ampiamente coltivata nelle regioni tropicali e subtropicali, come Cuba, Porto Rico, Filippine ecc. Appartenente alla famiglia delle Graminaceae, è originaria delle Indie e, a completa maturazione, raggiunge altezze che vanno dai 3 ai 6 metri, per un diametro medio di 2-5 cm.Quando la pianta raggiunge tale grado di maturità, normalmente in circa un anno, viene tagliata e privata delle foglie. Successivamente il processo tradizionale prevede che tali parti vengano ridotte in pezzi più piccoli, a loro volta frantumati e spremuti per ricavare un succo particolarmente dolce, chiamato sugo leggero.
Mentre la parte legnosa, detta bagasse, viene recuperata ed utilizzata come fonte energetica, il sugo leggero viene purificato con latte di calce e sottoposto a filtrazione. Una volta rimossa la parte acquosa per evaporazione, si ottiene un sugo particolarmente concentrato, dalla cui centrifugazione a freddo si ricava lo zucchero grezzo ed un residuo liquido detto melasso.
A questo punto lo zucchero grezzo di canna, contenente circa il 2% di impurezze, è finalmente pronto per il consumo. In alcuni casi viene invece sottoposto ad un ulteriore processo di raffinazione, che lo rende equivalente al classico zucchero da cucina.
Se si seguono i metodi tradizionali, saltando il processo di raffinazione chimica o attuandolo solo in parte, la cristallizzazione del succo dà origine al cosiddetto zucchero integrale di canna.

Zucchero grezzo di canna e zucchero di canna integrale
Rispetto allo zucchero tradizionale, quello integrale di canna contiene una minore percentuale di saccarosio, è più ricco di sali minerali (calcio, fosforo, potassio, zinco, fluoro, magnesio) e vitamine (A, B1, B2, B6, C). Il potere calorico è leggermente inferiore, tant’è vero che 100 grammi di zucchero di canna integrale apportano 356 calorie, contro le 392 del tradizionale saccarosio.

Lo zucchero integrale di canna non va confuso con lo zucchero grezzo di canna. Quest’ultimo ricopre un’ampia fetta di mercato e, avendo subito il processo di raffinazione, è molto simile a quello ottenuto dalla barbabietola. Il suo colorito giallo-beige non deve ingannare, poiché è conferito dall’addizione di piccole quantità di melassa o caramello.

Non potendosi basare sul semplice colore, per giudicare la qualità di uno zucchero di canna occorre osservare qualche particolare in più. Se per esempio si presenta sottoforma di cristalli uniformi per dimensioni e colore, si tratta con tutta probabilità di zucchero grezzo; al contrario se la consistenza non è cristallina ma bensì granulosa allora con tutta probabilità si tratterà di zucchero di canna integrale.

Aromi artificiali e aromi naturali


Il gusto delle patatine fritte di McDonald’s è stato molto apprezzato dai clienti e persino dai critici gastronomici. James Beard le amava e anche i bambini nella foto sembrano gradirle ;). Il loro gusto caratteristico non dipende dal tipo di patata che McDonald’s acquista, dalla tecnologia che la trasforma o dalle attrezzature che la friggono. Altre catene comprano le patatine fritte dalle stesse grandi aziende, usano la varietà Russet Burbanks e nelle cucine hanno friggitrici simili. Il gusto di una patatina da fast food dipende in gran parte dall’olio di cottura. Per decenni McDonald’s ha riscaldato le sue patatine fritte in una miscela composta dal sette percento dì olio di semi di cotone e dal novantatre percento di sego bovino. La miscela conferiva alle patatine fritte non solo un sapore unico, ma anche un contenuto in grassi saturi animali superiore a quello dell’hamburger.
In conseguenza del fuoco di fila di critiche sulla quantità di colesterolo presente nelle patatine, nel 1990 McDonald’s passò all’olio completamente vegetale. Il cambiamento mise l’azienda davanti a una sfida enorme: come fare patatine fritte il cui sapore ricordi vagamente la carne di manzo senza cuocerle nel sego bovino. Per capire come fu risolto il problema basta dare un’occhiata agli ingredienti usati da McDonald’s nella preparazione delle patatine fritte. In fondo all’elenco c’è una dicitura apparentemente innocua e tuttavia curiosamente misteriosa: “aromi naturali". Questo ingrediente spiega come mai non solo le patatine fritte sono così buone, ma anche come mai la gran parte del cibo dei fast food - anzi, la gran parte del cibo che oggi mangiano gli americani - abbia il sapore che ha.
Aprite il frigorifero, il congelatore, gli armadietti della vostra cucina, e leggete le etichette del cibo che avete in casa. Troverete "aromi naturali" o "aromi artificiali" in ogni elenco di ingredienti. Le analogie tra queste due vaste categorie sono assai più significative delle differenze. Entrambe indicano additivi elaborati dall’uomo, che conferiscono alla maggior parte del cibo confezionato il suo gusto. Il primo acquisto di un prodotto alimentare può essere guidato dalla confezione, dall’aspetto, ma è il gusto a determinare gli acquisti successivi. Circa il novanta percento del denaro speso dagli americani per nutrirsi viene usato per comperare cibo confezionato, ma le tecniche di inscatolamento, surgelamento e disidratazione distruggono buona parte del sapore. Dalla fine della Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti è emersa un’industria che si occupa di rendere gradevole al palato il cibo confezionato. Senza l’industria degli aromi, oggi il fast food non potrebbe esistere. I nomi delle maggiori catene americane di fast food e le loro specialità più vendute sono divenute famose in tutto il mondo, si sono sedimentate nella nostra cultura popolare. Poche persone, tuttavia, sanno quali sono le aziende che producono il gusto del fast food.
L’industria dei sapori è assai riservata. Le maggiori aziende non hanno alcuna intenzione di divulgare le formule precise dei preparati aromatici e nemmeno le identità dei loro clienti. La segretezza è ritenuta essenziale a difendere la reputazione dei marchi più conosciuti. Le catene di fast food vorrebbero, comprensibilmente, far credere al pubblico che il sapore del loro cibo nasca nelle cucine dei loro ristoranti e non in fabbriche lontane, gestite da altre aziende. La New Jersey Tumpike attraversa il cuore dell’industria degli aromi: un corridoio costellato di raffinerie e stabilimenti chimici. La International Flavors & Fragrances (IFF), la fabbrica di aromi più grande del mondo, ha uno stabilimento vicino all’uscita 8A di Dayton, New Jersey; Givaudan, la seconda, ha un impianto a East Hanover. Haarmann & Reimer, la maggiore fabbrica di aromi tedesca, ha uno stabilimento a Teterboro, come la Takasago , la principale azienda giapponese. Flavor Dynamics ha uno stabilimento a South Plainfield; Frutarom è a North Bergen, Elan Chemical a Newark. Nei parchi industriali del New Jersey, tra Teaneck e South Brunswick, ci sono decine di aziende che producono aromi. In questa zona si producono due terzi degli additivi aromatici venduti negli Stati Uniti.
Lo stabilimento della IFF di Dayton è un’enorme costruzione azzurro pallido con un moderno complesso di uffici collegato sul davanti. Si trova in un parco industriale, poco distante da una fabbrica di plastiche della BASF, da una fabbrica Jolly French Toast e da uno stabilimento in cui si producono i cosmetici di Liz Claibome. Al pomeriggio in cui sono andato a visitare IFF ho visto decine di motrici e rimorchi parcheggiati nell’area di carico e scarico e una sottile nuvola di vapore che si alzava dalla ciminiera. Prima di entrare nello stabilimento ho firmato un accordo di non divulgazione, con il quale mi impegnavo a non rivelare i nomi dei prodotti che contengono gli aromi della IFF. Il luogo mi ha fatto pensare alla fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Nei corridoi aleggiavano odori meravigliosi, uomini e donne in camici immacolati facevano il loro lavoro allegramente e sui tavoli e scaffali da laboratorio c’erano centinaia di flaconcini di vetro. I flaconcini contenevano aromi potenti ma anche fragili, che il vetro marrone e i cappucci rotondi di plastica ben chiusi proteggevano dalla luce. I lunghi nomi scritti sulle piccole etichette bianche mi erano incomprensibili, neanche fossero in latino medievale. Erano strani nomi di cose che sarebbero state mescolate, versate e trasformate in sostanze nuove, come pozioni magiche.
Non sono stato invitato a vedere i settori di produzione dello stabilimento IFF perché lì avrei potuto scoprire segreti commerciali. Invece ho visitato svariati laboratori e cucine pilota dove gli aromi di marchi ben noti al pubblico vengono testati o corretti e dove vengono creati aromi totalmente nuovi. Il laboratorio snack e prodotti da forno salati è responsabile del sapore di patatine, sfogliatine di mais, pane confezionato, crackers, cereali per la prima colazione e cibo per animali domestici. Il laboratorio dolciario crea il sapore di gelati, biscotti, caramelle, dentifrici, colluttori e antiacidi. Ovunque guardassi vedevo prodotti famosi e ampiamente pubblicizzati piazzati su banchi e tavoli di laboratorio. il laboratorio bevande è pieno di bottiglie trasparenti con liquidi dai colori accesi. Da lì escono i sapori di famose bibite, integratori per lo sport, tè in bottiglia, succhi di frutta naturali al cento per cento, latti di soia biologici, birre e superalcolici di malto. In una cucina pilota ho visto un chimico assai distinto, un uomo di mezza età con un’elegante cravatta sotto il camice, che preparava con cura un’infornata di biscotti con glassa bianca e granella bianca e rosa. In un’altra cucina pilota c’erano un forno per pizze, un grill, una macchina per i milk shake e una friggitrice per patatine, tutte apparecchiature identiche a quelle che ho visto dietro il banco di innumerevoli fast food.
Oltre a essere l’azienda produttrice di aromi più grande al mondo, la IFF produce l’odore di sei tra i profumi più venduti negli Stati Uniti: Beautiful di Estée Lauder, Happy di Clinique, Polo di Ralph Lauren ed Eternity di Calvin Klein. Produce anche l’odore di prodotti come deodoranti, detersivi per lavastoviglie, bagnischiuma, shampoo, lucidi per mobili e cere per pavimenti. Tutti gli aromi sono fatti con lo stesso procedimento di base: la manipolazione di sostanze chimiche volatili allo scopo di creare un odore particolare. La scienza di base che sta dietro la fragranza della vostra crema da barba è la stessa che determina il sapore del pasto pronto che consumate davanti alla TV. L’aroma di un cibo può essere all’origine del novanta percento del suo sapore. Oggi gli scienziati ritengono che gli esseri umani abbiano acquisito il senso del gusto per evitare di rimanere avvelenati: in genere le piante commestibili hanno un sapore dolce; quelle velenose, amaro. Il gusto dovrebbe aiutarci a distinguere il cibo adatto a noi da quello che non lo è. Le nostre papille gustative possono individuare una mezza dozzina di sapori base: dolce, acido, amaro, salato, aspro e unami (un sapore scoperto da alcuni ricercatori giappopesi: un gusto ricco e corposo che ha origine dagli aminoacidi di cibi come i crostacei, i funghi, le patate e le alghe). Le papille gustative rappresentano tuttavia un mezzo di riconoscimento relativamente limitato se paragonate all’olfatto umano, che può percepire migliaia di aromi chimici diversi. Non c’è dubbio che il "sapore" sia prima di tutto l’odore dei gas rilasciati dalle sostanze chimiche che vi siete appena messi in bocca.
L’atto di bere, succhiare o masticare una sostanza causa il rilascio di gas volatili che fluiscono fuori dalla bocca e raggiungono le narici, oppure attraversano il corridoio posto sul fondo della bocca verso uno strato sottile di cellule nervose chiamato epitelio olfattivo, situato alla base del naso, tra gli occhi. Il cervello mescola i segnali complessi provenienti dall’epitelio con i segnali semplici della lingua, assegna un sapore a ciò che si trova nella vostra bocca e decide se si tratta di una cosa che volete mangiare. I neonati amano i sapori dolci e rifiutano quelli amari; lo sappiamo perché ricercatori hanno strofinato vari aromi nella bocca di lattanti per poi registrare le loro espressioni facciali. Le preferenze di un individuo in materia di cibo si formano nei primissimi anni di vita, come la personalità, attraverso un processo di socializzazione: i bambini piccoli possono imparare ad apprezzare i cibi piccanti e speziati, i sapori delicati dei cibi naturali oppure il fast food, a seconda di quello che la gente intorno a loro mangia. L’odorato umano non è stato ancora compreso del tutto e può subire notevoli variazioni derivanti da fattori e aspettative psicologiche. Il colore di un cibo può determinare la percezione del suo gusto. La mente filtra la stragrande maggioranza degli aromi chimici che ci circondano, concentrandosi attentamente su alcuni e ignorandone altri. Le persone possono abituarsi a odori cattivi o piacevoli; smettono di notare quelli che una volta sembravano preponderanti. L’aroma e la memoria sono inoltre legati inestricabilmente: un odore può improvvisamente evocare un momento dimenticato da lungo tempo. Sembra che i sapori dei cibi dell’infanzia lascino un marchio indelebile e spesso gli adulti vi ritornano, ma non sempre sanno perché. Questi "cibi consolatori" diventano una fonte di piacere e rassicurazione, fatto che le catene di fast food cercano assiduamente di promuovere.
I ricordi infantili degli Happy Meal possono tradursi in una maggiore frequenza di visite da McDonald’s nell’età adulta, come quella degli heavy users della catena, i clienti che ci vanno quattro o cinque volte la settimana.
Il bisogno umano di nuovi sapori è una forza spesso ignorata e trascurata nei testi di storia. Il commercio di spezie ha costruito imperi, fatto esplorare terre sconosciute, cambiato grandi religioni e filosofie. Nel 1492 Cristoforo Colombo prese il mare alla ricerca di condimenti. Oggi l’influenza del sapore sul mercato mondiale non è meno decisiva. Spesso il gusto dei prodotti determina l’ascesa e la caduta di imperi industriali: aziende di bibite, di merendine, catene di fast food.
L’industria del sapore emerse alla metà del diciannovesimo secolo, quando i cibi confezionati cominciarono a essere prodotti su larga scala. Avendo riconosciuto la necessità di additivi aromatici, i primi trasformatori di alimentari si rivolsero ai produttori di profumi, che avevano anni di esperienza nel campo degli oli essenziali e degli aromi volatili. Le grandi case profumiere inglesi, francesi e olandesi produssero molti dei primi composti aromatici. Agli inizi del ventesimo secolo la potente industria chimica tedesca assunse la guida tecnologica della produzione di aromi. La leggenda dice che un ricercatore tedesco scoprì il metilantranilato, uno dei primi aromi artificiali, per caso, mentre mescolava sostanze chimiche nel suo laboratorio. Improvvisamente il laboratorio fu invaso da un dolce odore d’uva. Più tardi il metilantranilato divenne il composto aromatico principale del succo di frutta Kool-Aid all’uva. Dopo la Seconda guerra mondiale molte case profumiere si spostarono dall’Europa agli Stati Uniti, stabilendosi a New York City, vicino al distretto dell’abbigliamento e delle case di moda. Insieme anche l’industria degli aromi si spostò, traslocando successivamente nel New Jersey in cerca di stabilimenti più grandi. Gli additivi aromatici di sintesi furono usati principalmente nei prodotti da forno, nelle caramelle e nelle bibite gassate fino agli anni cinquanta, quando le vendite di cibo confezionato presero ad aumentare vertiginosamente. L’invenzione dei cromatografi a gas e degli spettrometri di massa, strumenti capaci di individuare quantità piccolissime di gas volatili, incrementò il numero di aromi sintetizzabili. Alla metà degli anni sessanta l’industria americana degli aromi sfornava ingredienti che davano gusto a merendine Pop Tarts, bocconcini al bacon Bac-O-Bits, tabasco, bibite Tang e panini Filet-O-Fish, oltre che a letteralmente migliaia di altri nuovi cibi.
L’industria americana degli aromi oggi rende circa 1,4 miliardi di dollari. Ogni anno negli USA vengono introdotti diecimila nuovi tipi di cibi confezionati e quasi tutti richiedono la presenza di additivi aromatici, ma di questi prodotti circa nove su dieci non hanno successo. Le innovazioni più recenti nel mondo degli aromi e i comunicati aziendali appaiono su pubblicazioni come Food Chemical News, Food Engineering, Chemical Market Reporter e Food Product Design. La crescita della IFF ha rispecchiato quella dell’industria degli aromi nella sua totalità. L’IFF nacque nel 1958 dalla fusione di due piccole compagnie e ha visto moltiplicarsi il proprio fatturato annuale, quindici volte dai primi anni settanta; oggi ha stabilimenti di produzione in venti paesi.
La caratteristica più ricercata in un cibo, il suo aroma, normalmente è presente in una quantità troppo infinitesimale perché possa essere misurata in termini culinari tradizionali come i grammi o i cucchiaini da tè. Oggi spettrometri sofisticati, cromatografi a gas e analizzatori di vapori forniscono mappe dettagliate dei componenti del sapore di un cibo, riconoscendo le sostanze chimiche aromatiche in quantità piccole come una parte per miliardo. Il naso umano è però ancora più sensibile di qualsiasi strumento inventato finora. Un naso può distinguere aromi presenti in quantità di poche parti per trilione, cioè lo 0,000000000003 percento. Aromi complessi come quello del caffè o della carne arrostita possono essere composti da gas volatili provenienti da quasi un migliaio di sostanze chimiche diverse. Il profumo di fragola nasce dall’interazione di almeno 350 sostanze chimiche, presenti in quantità minime. La sostanza che dà il sapore dominante di paprika può essere percepita in quantità pari a .02 parti per miliardo; una goccia basta a dare sapore a cinque piscine di media grandezza. Di solito gli additivi aromatici sono gli ultimi o i penultimi nell’elenco degli ingredienti di un cibo confezionato (le sostanze coloranti in genere sono presenti in quantità ancora minori). Di conseguenza il sapore di un cibo confezionato spesso costa meno delle altre componenti e della confezione. I soft drink contengono additivi aromatici in proporzione maggiore rispetto alla maggior parte degli altri prodotti. Gli aromi di una lattina da 33 centilitri di Coca-Cola costano circa mezzo centesimo.
La Food and Drug Administration non richiede alle aziende produttrici di aromi di rendere noti gli ingredienti dei loro additivi finché tutte le sostanze chimiche sono considerate GRAS (Generally Regarded as Safe, Generalmente considerate sicure). La mancanza di divulgazione al pubblico permette alle aziende di mantenere segrete le formule e nasconde il fatto che talvolta i componenti aromatici contengono più ingredienti della preparazione cui danno il gusto. L’onnipresente voce aroma artificiale di fragola dice poco sulle magie chimiche che danno a un cibo altamente manipolato un gusto di fragola.
Un tipico aroma artificiale di fragola, come quello che troviamo in un milk shake alla fragola di Burger King, contiene questi ingredienti: amil-acetato, amil-butirato, amil-valerato, anetolo, anisil-formato, benzil-acetato, benzile-isobutirato, acido butirrico, cinnamil-isobutirato, cinnamil-valerato, olio essenziale di cognac, díacetíle, dipropil-chetone, etil-acetato, etil-amilchetone, etil-butirato, etil-cinnamato, etil-eptanoato, etil-eptilato, etil-Iactato, etil-metilfenilglucidato, etil-nitrato, etil-propionato, etil-valerato, eliotropina, idrossifreniP2-butanone (soluzione al dieci percento in alcol), alfa-ionone, isobutil-antranilato, isobutil-butirato, olio essenziale di limone, maltolo, 4metilacetofenone, metil-antranilato, metil-benzoato ‘ metil-cinnamato, carbonato di metil-eptina, metil-naftil_chetone, metilsalicìlato, olio essenziale di menta, olio essenziale dì neroli, nerolina, neril-isobutirato, burro di giaggiolo, alcol fenetilico, etere di rum, gamma-undecalactone, vanillina e solvente.
Sebbene gli aromi normalmente nascano da una miscela di numerose sostanze chimiche volatili, spesso la nota dominante viene da un singolo ingrediente che, annusato da solo, trasmette inconfondibilmente l’aroma di un certo alimento. Per esempio Fetil-2-metilbutirato ha esattamente l’odore di una mela. I cibi di oggi sono una tabula rasa: per dar loro un gusto specifico si aggiunge una sostanza chimica. Aggiungendo metil-2-peridilchetone il prodotto sa di popcorn. Aggiungendo etil-3-idrossibutanoato il prodotto sa di marshsmallow. Oggi le possibilità sono praticamente illimitate. I cibi confezionati potrebbero persino contenere aromi artificiali come esanale (l’odore dell’erba appena tagliata) o acido 3-metil-butanoico (l’odore del sudore) senza che ne cambi l’aspetto o il valore nutrizionale.
Gli anni sessanta furono l’età dell’oro per gli aromi artificiali. Le versioni sintetiche dei componenti aromatici non erano certo raffinate e non avevano bisogno di esserlo, data la natura di gran parte del cibo confezionato. Negli ultimi vent’anni i trasformatori di cibo hanno tentato assiduamente di inserire nei loro prodotti solo "aromi naturali". Secondo la Food and Drug Administration questi devono derivare esclusivamente da fonti naturali: erbe, spezie, frutti, ortaggi, manzo, pollo, lieviti, cortecce, radici etc. I consumatori preferiscono vedere la scritta "aromi naturali" su un’etichetta, credendo che siano più sani. Ma la distinzione tra aromi artificiali e naturali può essere arbitraria e assurda poiché dipende da come l’aroma viene preparato e non da cosa contenga in realtà. «Un aroma naturale» spiega Terry Aeree, docente di scienze delle tecnologie alimentari presso la Cornell University «è un aroma ottenuto grazie a una tecnologia datata. Aromi naturali e artificiali talvolta contengono le stesse sostanze chimiche, prodotte però con metodologia diverse. L’amil-acetato, per esempio, dà il gusto di banana. Se lo si distilla dalle banane con un solvente, l’amil-acetato è un aroma naturale. Se lo si produce mescolando aceto e alcol amilico, con l’aggiunta di acido solforico come catalizzatore è un aroma artificialie.

Grassi idrogenati e margarina



Cari lettori,
in questo mondo dominato dalla politica del profitto molto spesso la nostra saluta passa in secondo piano e solo la consapevolezza può aiutarci a asalvaguardarla. Questo artico ha come scopo quello di capire di più cosa siano i grassi idrogenati e dove si trovino.
I grassi idrogenati e la margarina sono composti industriali di sintesi, inventati all'inizio del secolo, largamente utilizzati dall'industria alimentare. I grassi trans sono utilizzati per i seguenti motivi (puramente economici):

- costano meno dei grassi di qualità, come il burro;
- irrancidiscono molto più lentamente e quindi consentono una durata maggiore dei prodotti;

- hanno un punto di fusione più elevato rispetto ai grassi vegetali di partenza, quindi possono sostituire efficacemente il burro.Maggiori informazioni...


Perché fanno male
I grassi idrogenati e la margarina contengono i grassi trans, che hanno i seguenti effetti sull'organismo:
- Abbassano il colesterolo HDL e alzano quello LDL

- Aumentano il rischio cardiovascolare più dei grassi saturi

- Abbassano il valore biologico del latte materno

- Causano un basso peso dei bambini alla nascita

- Aumentano i livelli di insulina in risposta a un carico glicemico

- Interferiscono con la risposta immunitaria diminuendo l'efficienza della risposta delle cellule B e aumentando la proliferazione delle cellule T

- Diminuiscono il livello di testosterone

- Inibiscono alcune reazioni enzimatiche fondamentali

- Alterano la permeabilità e la fluidità delle membrane cellulari

- Alterano la costituzione e il numero degli adipociti (cellule di deposito del grasso)

- Interferiscono con il metabolismo degli acidi grassi essenziali omega-3

- Incrementano la produzione di radicali liberi Informazioni dettagliate in questo articolo di Roberto Albanesi, del quale riportiamo un passo significativo.
"In genere quando una sostanza è tollerata dal corpo si fissano delle dosi giornaliere accettabili (per esempio per il dolcificante aspartame è di 50 mg/kg, per il vino un paio di bicchieri al giorno ecc). Ebbene l'Institute of Medicine (IOM) of the National Academies of Sciences, Engineering, Medicine and Research Council americano ha proposto per i grassi trans un Tolerable Upper Intake Level (UL) di ZERO."


Dove si trovano
I grassi trans si trovano purtroppo in moltissimi prodotti industriali e artigianali. Tuttavia, non è difficile eliminarli completamente dalla propria alimentazione. I grassi trans li troviamo in tutti gli alimenti che riportano come dicitura tra gli ingredienti: oli vegetali idrogenati, oli vegetali parzialmente idrogenati, grassi vegetali idrogenati, grassi vegetali parzialmente idrogenati, margarina. I seguenti prodotti di largo consumo vanno tenuti sotto controllo.

Prodotti da forno confezionati
Biscotti, brioche, focacce, crostate, torte, patatine in sacchetto ecc. Tutti riportano gli ingredienti e quindi è semplice individuare la presenza di grassi trans.

Prodotti da forno artigianali
Da tenere sotto controllo soprattutto i prodotti di pasticceria, che nel 90% dei casi fanno uso di grassi trans. Gli esercizi devono obbligatoriamente riportare in vista gli ingredienti di ciò che vendono, se non li trovate chiedeteli all'esercente e se trovate margarina o grassi idrogenati tra gli ingredienti, cambiate pasticceria. Purtroppo per gli amanti del cappuccino e brioche, noterete ben presto che sarà molto difficile trovare dei prodotti fatti con il burro e non con la margarina...

Gelati artigianali
La situazione dei gelati non è grave come quella delle pasticcerie, ma il rischio è comunque alto. Ormai quasi tutte le gelaterie fanno uso di preparati industriali che spesso contengono grassi trans, che hanno il vantaggio di far sciogliere il gelato più lentamente.Valgono le stesse indicazioni delle pasticcerie: verificate se tra gli ingredienti ci sono i grassi trans e create una lista personale di gelaterie di qualità che non fanno uso di grassi trans. In questo caso, fortunatamente, qualità del gelato equivale spesso a assenza di grassi trans.

Al ristorante
Oltre ovviamente ai prodotti appena descritti, che vengono serviti anche al ristorante, bisogna cercare di evitare quelle preparazioni che fanno uso probabile di margarina. Il filetto al pepe, in moltissimi ristoranti, viene cotto nella margarina. I dolci, se non sono "della casa", sono acquistati da pasticcerie industriali o artigianali che al 90% usano margarina. Per evitare di essere visti in malo modo (ma non ne vedrei comunque il motivo), potreste chiedere la presenza di margarina nei vari piatti fingendo una allergia a tale sostanza.

martedì 26 agosto 2008

Dedalo

Dedalo era un bravissimo architetto e scultore, così ingegnoso e così bravo nella sua arte che si diceva le sue sculture sembrassero vive.
Ma il signore qui descritto non era uno stinco di santo, anzi, di guai ne combinò pure parecchi.Innanzi tutto fu un omicida:ebbe come discepolo Talo, figlio della sorella. Si dice che Talo era tanto bravo come inventore da aver messo in ombra lo zio, e Dedalo, pieno di gelosia, fu "costretto" ad ucciderlo.Accusato di omicidio (ma và!) esiliò a Creta dove ebbe l'onore di conoscere il re Minosse.
Qui passiamo alla storia a luci rosse, quindi chi ha meno di 18 anni non continui a leggere il racconto...
...Minosse ogni anno sacrificava un toro a Poseidone ma uno di questi anni (giusto quando Dedalo si trovò lì), nacque un toro così bello che il re non volle sacrificarlo al dio e ne scelse un altro.Poseidone, offeso, volle vendicarsi facendo in modo che Pasife, la moglie di Minosse si innamorasse del bellissimo toro. Pasife desiderava ardentemente accoppiarsi con il toro, ma, come diciamo nuatri, c'era qualche problemino tecnico che impediva la copulazione...solo qualcuno, di piccola importanza...Ma qui entra a far parte della storia Dedalo, al quale venne un'idea geniale, cioè quella di costruire una statua a forma di mucca, vuota dentro e rivestita di pelle bovina . Insegnò a Pasife come posizionarsi all'interno per permettere l'accoppiamento (immagino la scena :-D) e dopo qualche scomodità iniziale l'unione avvenne.
Fino a qui nessun problema, se nonchè la signora Pasife rimase incinta e partorì un essere bruttissimo, il Minotauro, metà toro e metà uomo. Chissà Minosse quanto fu grato a Dedalo per la bellissima idea che ebbe! Ma i danni che combinò Dedalo non finiscono qui...
Minosse fece costruire al suo fidato Dedalo il famosissimo labirinto, dove vi mise dentro il Minotauro e ogni tanto gli veniva sacrificato qualche essere umano.
Tra le varie persone che ebbero la "fortuna" di entrare nel labirinto a far visita al mostro, ci fu Teseo, fidanzato di Arianna (la figlia di Minosse e la stessa persona che poi verrà abbandonata in un isola dal pezzo di maleducato del suo fidanzato). Arianna, sotto uno dei preziosi consigli di Dedalo, fece uscire fuori Teseo dal labirinto.
Fatta anche questa bravata, Minosse si arrabbiò veramente con Dedalo. Vada per le corna fatte da un toro, ma quando è troppo è troppo!
Ed ecco che nella storia appare la Sicilia...
Dedalo e suo figlio scapparono da Creta con delle ali di cera, fu qui che il figlio scimunito ebbe l'idea di avvicinarsi al sole e morì.Il padre invece volava basso e di tanto in tanto bagnava le ali e riuscì a planare in Sicilia.Anche qui si accaparrò le simpatie di un regnante, Cocalo, un re sicano.Ma intanto Minosse non dimenticava l'affronto e venne a sapere che Dedalo si trovava in Sicilia.A quel punto decise di approdare nell'isola sbarcando in una località vicino Agrigento, che in suo onore venne chiamata Eraclea Minoa.Minosse, sapendo che Dedalo era molto furbo e che soltanto lui avrebbe potuto risolvere gli indovinelli più strani e risolvere i quesiti più difficili, ovunque passava prometteva denaro a colui che avrebbe fatto passare un filo attraverso le spirali di una chiocciola immaginando che lì a poco avrebbe ricevuto la soluzione al quesito.
Ovviamente il signor "io so fare tutto" riuscì a fare passare il filo legandolo ad una formica che poi fece entrare nella conchiglia e la fece uscire da un buchino posto dietro.Cocalo fece avere la soluzione a Minosse, non specificando che l'idea era di Dedalo, ma Minosse immediatamente chiese al re sicano di consegnargli il fuggitivo.Cocalo, che ormai si era affezionato a Dedalo e non voleva perderlo, decise di far venire comunque Minosse a corte, lo invitò a fare un bagno caldo nelle sue bellissime vasche ammaliato e massaggiato dalle figlie. Ma le signorine non furono proprio ospitali, anzi, annegarono l'ospite. I sicani consegnarono il corpo senza vita ai cretesi dicendo loro che il re era morto scivolando accidentalmente

giovedì 21 agosto 2008

Dioniso e Arianna

Appena sceso sulla spiaggia di Nasso, Dioniso fu attirato dal convulso pianto di una donna. Vide una fanciulla sulla sabbia stesa che si disperava e piangeva, al che il dio le si avvicinò e cominciò a consolarla, vide il volto della giovane e le asciugò le lacrime, si accorse di non aver mai visto una donna così bella e nemmeno tanto disperata; allora pregò la ragazza di raccontargli il motivo di tanto dolore e lei tra pianti e sospiri prese a raccontare. La giovane donna si chiamava Arianna, figlia del re di Creta, Minosse e di Pasifae. Arianna raccontò del suo amore per Teseo, che aveva aiutato nel Labirinto, raccontò della promessa di Teseo di ricambiare il suo aiuto prendendola in sposa e del tradimento del ragazzo che una volta ricevuto l'aiuto abbandonò la giovane fanciulla sulla riva del mare. Dioniso aveva partecipato con tutto il suo animo al racconto di questa storia d'amore e tradimento; quando Arianna smise di piangere si fece riconoscere come dio e le chiese di diventare sua moglie. Sorpresa Arianna taceva, allora Dioniso prese la corona gemmata che portava e la posò sul capo della donna, quel gesto valeva più di un giuramento e Arianna ne comprese subito il significato. Zeus acconsentì alle nozze dal cielo, trasformando quella corona in stelle. Alle nozze assistette tutta la corte di Dioniso, che col capo ricoperto di ghirlande di pampini e agitando il tirso, si mise a cantare un gioioso epitalamio. Un carro d'oro, tirato da sei pantere, trasportò i giovani sposi in una dimora sconosciuta.

Eros e Psiche (da


Un re aveva tre figlie e la più bella si chiamava Psiche, che significa "anima", di cui Eros se ne innamorò. Una notte la prese e la portò in un magnifico palazzo incantato che aveva fatto sorgere in mezzo a un bosco; qui i due giovani si amarono e da quel giorno, ogni notte, il dio andava a farle visita, partendo però prima che il sole sorgesse. In questo modo, Psiche non aveva mai visto il viso del suo amato sposo e non sapeva neanche chi fosse; ma poiché egli la riempiva di attenzioni ed era molto premuroso con lei, la fanciulla capiva che lo sposo l'amava molto e di altro non si curava. Una volta per sola curiosità femminile, chiese al suo sposo di poter vedere il suo viso, ma Eros le disse che ciò non era possibile e che se gli voleva bene e desidera essere una sposa felice, non doveva più rivolgergli simili domande; doveva rinunciare a vederlo e a sapere chi fosse. Le fece giurare di obbedirgli e se per caso non avesse mantenuto la promessa, sarebbe scomparso e non lo avrebbe più rivisto. Le due sorelle di Psiche, invidiose della fortuna capitata alla sorella, le misero in testa che se il giovane non voleva mostrarsi doveva essere sicuramente orribile; Psiche rimase ossessionata da quel dubbio che le sorelle le avevano messo in testa e ansiosa e spaventata una notte, mentre il suo sposo dormiva, si avvicinò al letto e fece luce con una lampada; con grande stupore vide che, anzi, il suo sposo era bellissimo. Incantata da tale meraviglia, Psiche fece cadere dalla lampada una goccia di olio caldo sul corpo di Eros che subito si svegliò. Il dio vide che la giovane non aveva mantenuto la promessa e adirato e dispiaciuto, la lasciò li da sola. Psiche iniziò a disperarsi per la perdita del suo amore, versò lacrime amare e iniziò un lungo cammino intorno la Terra in cerca del suo perduto amor. Un giorno si ritrovò dinanzi il palazzo di Afrodite, che invidiosa per la sua bellezza e adirata per il dolore che la giovane aveva dato a suo figlio, la prese con sé come schiava, maltrattandola senza pietà, imponendole lavori più umili e faticosi. Eros, che l'amava ancora, venne in soccorso, placò la madre e chiese il riconoscimento del matrimonio a Zeus e anche che la sua sposa divenisse, come lui, una divinità immortale. Il simbolo che si nasconde sotto questo bellissimo mito è semplice: un matrimonio o comunque un'unione, perché sia veramente felice, richiede che alla bellezza del corpo si unisca anche la bellezza dell'anima.

Eco e Narciso


Narciso, figlio della ninfa Liriope e del dio del fiume Cefiso, quando nacque, il veggente Tiresia gli profetizzò che sarebbe vissuto fino a tarda età, purché non conoscesse mai se stesso. Chiunque si sarebbe innamorato di Narciso e, quando ebbe raggiunto i sedici anni, si era lasciato alle spalle una schiera di amanti respinti d'ambo i sessi, poiché era caparbiamente geloso della propria bellezza. Tra gli altri spasimanti vi era la Ninfa Eco, che non poteva più servirsi della propria voce se non per ripetere stupidamente le ultime parole gridate da qualcun'altro. Fu punita da Era perché la distraeva con lunghe favole mentre le concubine di Zeus, sfuggivano ai suoi occhi per mettersi in salvo. Un giorno, mentre Narciso si preparava a tendere reti per i cervi, Eco lo seguì desiderosa di rivolgergli la parola; ma come al solito non poteva parlare per prima. A un tratto Narciso, accortosi di esser ormai lontano dai suoi compagni si mise a gridare “C'è qualcuno qui?” …. “Qui” rispose Eco, lasciando Narciso sorpreso perché non vedeva nessuno. “Vieni” … “Vieni”… “Raggiungimi qua”… “Raggiungimi qua” rispose Eco gioiosamente e balzò fuori dal cespuglio per abbracciare Narciso. Il ragazzo la respinse in modo brusco e fuggì lasciando la povera Eco lamentandosi con le ultime parole di Narciso. Eco trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo d'amore e rimpianto, finché di lei rimase soltanto la voce. Un giorno Narciso mandò una spada ad Aminio, il suo spasimante più acceso, e quest'ultimo si uccise sulla soglia della casa dell'amante, invocando gli dei perché vendicassero la sua morte. Artemide udì quel grido di dolore e fece si che Narciso si innamorasse senza poter soddisfare la propria passione. Un giorno, a Donacone, nella regione di Tespia, Narciso stava passeggiando e si avvicinò a una fonte chiara come l'argento né mai contaminata da armenti, uccelli, belve o rami caduti dagli alberi vicini. Non appena sedette sulla sponda di quella fontana si innamorò della propria immagine. Dapprima tentò di abbracciare e baciare il bel fanciullo che gli stava davanti, poi riconobbe che era se stesso e rimase ore a fissarsi nell'acqua. L'amore gli veniva al tempo stesso concesso e negato, egli si struggeva per il dolore e insieme godeva del suo tormento, ben sapendo che almeno non avrebbe tradito se stesso. Eco, pur non avendo perdonato Narciso, soffriva con lui e ripeté le ultime parole che Narciso proclamò mentre si trafiggeva il petto con una spada. Dalla terra inzuppata di sangue nacque il narciso bianco dalla corolla rossa, da cui si distilla ora l'unguento balsamico di Cheronea.

mercoledì 20 agosto 2008

Il suono della rete (

Il guado

La vita è come un guado. E’ utopico pensare che ci sarà un fine cosciente a questo attraversamento. L’intera vita è un guado e solo la morte ci farà toccare le sponde. La morte sarà il momento in cui ci sarà consentito riposare.
Ora la questione è: che fare durante questo tortuoso attraversamento?
Credere che si potrà decidere di lasciarsi andare solo quando le correnti saranno superate e tutto sarà calmo oppure aspettare la morte per cominciare a vivere. Se si crede in un ipotetico aldilà allora si è giustificati quando si sceglie di no vivere la vita terrena come merita di essere vissuta. Io nell’aldilà non credo ma credo anzi che il mio paradiso sia questa esistenza, unica cosa sicura, quindi devo cercare di vivere come meglio posso nel rispetto di me stessa e degli altri.
E’ proprio ora che arriva il difficile, attraversare questo guado con tutte le sue correnti, i suoi pericoli i suoi tranelli senza affogare. Morire affogati in queste acque, travolti da una corrente che non si è riuscita a superare non significa riposare. Significa essere dei perdenti, degli omuncoli che non sono stati in grado di apprezzare il dono che il caso gli a fatto: la vita.
Adesso torniamo a questo benedetto guado che bada bene non è affatto cosa semplice.
Si nasce e così si viene buttati tra le sue acque, durante il primo tratto dell’attraversamento se si è fortunati si viene sorretti da quattro braccia forti che ci proteggono dai pericoli e ci danno le basi per poter un giorno proseguire il percorso da soli. Avere questa fortuna non è cosa frequente. Spesso le braccia sono due e non è detto che siano forti. Altre volte potrebbero non esserci braccia o esserci di tanto in tanto. Insomma si nasce nell’incertezza del nostro futuro anche prossimo.
Nel mio caso questo primo tratto l’ho attraversato con quattro braccia che però non mi sorreggevano mai insieme. Erano due coppie di braccia molto diverse, una si è improvvisata forte e a modo suo per un certo periodo mi ha sorretto anche se più di qualche volta mi ha fatto bere un sacco di acqua, l’altra era bisognosa essa stessa di essere sorretta ma ha sempre negato a se stessa questa possibilità. Aveva tanto bisogno di essere sostenuta che figuriamoci se poteva sostenere me. A modo suo ci provava ma alla fine non ci riusciva mai e io bevevo. Sono arrivata a credere che questo bere fosse normale e mi sentivo anche in colpa quando manifestavo il bisogno ad altri di essere tenuta a galla. Allora che ho fatto…in fretta e furia ho imparato a nuotare da sola sull’esempio mischiato delle quattro braccia che vi ho appena presentato. La tecnica non era delle migliori e per quel che mi è stato possibile ho fatto modifiche che in qualche modo potessero compensare le carenze. Il risultato mi ha permesso di non affogare. Per un lungo periodo ho pensato che fosse cosa giusta continuare ad appoggiarmi a quelle strane braccia che mi hanno buttato in acqua e soffrivo immensamente quando mi accorgevo che il loro aiuto non mi salvaguardava dall’andare a fondo. Le pensavo forti e coraggiose e mi è stato veramente difficile abbattere questa convinzione. Ho dovuto far piazza pulita della maggior parte delle mie credenze e cominciare pian piano a riedificare il tutto. Ora che penso?
Quelle quattro braccia poverine hanno fatto quel che il loro essere gli ha permesso di fare. Hanno tanti limiti e difetti ma anche tanti pregi, io dal canto mio ora li riconosco nella loro totalità e non li idealizzo più evitando così di appoggiarmi ad un idealizzazione che e rischiando di andare giù. Li ho accettati per poter finalmente cominciare subito dopo ad accettare me stessa con limiti e possibilità.
Ora in questo tortuoso guado nuoto delle volte con difficoltà altre volte in piena serenità.
Spesso dentro di me continua ad esserci il desiderio di appoggiarmi a braccia forti e capita di cadere nell’errore di idealizzare anche braccia nuove e trovarmi poi a bere nuovamente. Il bisogno di volersi appoggiare a qualcuno fa parte della nostra natura e non dobbiamo soffocarlo. Quello che è necessario fare è guardare quelle braccia per quel che sono e non per quel che vorremmo che fossero e solo quando se ne saranno riconosciuti i difetti e i pregi, senza idealizzazioni varie, si ci potrà fermare a pensare se è il caso di darsi la mano e sorreggersi a vicenda pur continuando ad avanzare con le nostre forze. Non ci si appoggia ma si raddoppia la forza diventando una entità a due motori distinti ma che proseguono insieme. E’ così che sarebbe più incoraggiante pensare di poter affrontare le mille peripezie che questo fiume ci proporrà e se un giorno le altre braccia decidessero di continuare da sole l’attraversamento noi dobbiamo essere capaci di fare altrettanto anche nel caso in cui la riva si trovasse per il nostro compagno a meno distanza dalla nostra. Anche se fosse la morte a dividerci.Ora di braccia che ci aiutano ne potremmo avere tante altre oltre quelle del nostro compagno di vita, ci sono gli amici, i parenti ed altro ancora e in alcuni momenti la certezza di queste altre braccia ci può essere di conforto quando le correnti imperviano o di compagnia quando le acque tornano serene. Ma le uniche braccia sulle quali dobbiamo imparare a contare sono le nostre. Loro ci saranno sempre quando ne avremo bisogno e riconoscere la loro forza è il primo passo per riuscire ad avere in loro fiducia. Loro sorreggeranno le nostre debolezze, le nostre paure, ci faranno sentire Dio quando questo possa servire a stare a galla meglio. L’importante e che la divinizzazione di noi stessi sia circoscritta e limitata e si possa così tornare a riconoscersi esseri umani con tutti i limiti che questo comporta ma anche con tutti i piaceri che solo così potremmo imparare ad apprezzare ed a sentire. Il giusto equilibrio bisogna trovare e solo così si potrà riuscire a stare a galla evitando inutili annegamenti

La vita è un viaggio in treno


La vita è come un viaggio in treno, si è scelta la destinazione, forse pagato il biglietto e si è montati al volo. Una volta sopra si aspetta di arrivare tra imprevisti vari, ritardi, interruzioni della linea, posto a sedere o in piedi, 1° o 2° classe ed eventuali compagni di viaggio ma si può anche viaggiare da soli. Se il viaggio è lungo la compagnia non guasta purché sia adeguata. Bè, io sto ancora scegliendo la destinazione e sicuramente ho dei seri problemi a pagare il biglietto per non parlare poi del compagno di viaggio. Il fatto è che da qualche parte dovrò pur andare.
Su quel treno si trova tanta varietà, c’è chi il biglietto non l’ha pagato, chi ha preso il treno sbagliato, chi si è pentito della destinazione e scende alla prossima stazione e chi per paura pur consapevole dell’errore continua sulla stessa linea. Poi ci sono gli avventurieri che salgono e scendono da un treno all’altro delle volte soli e altre in compagnia.
La vita è come un viaggio in treno.

giovedì 14 agosto 2008

Carl Rogers (da Harvard business review, 1952)

La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione.

Discorso del Mahatma Gandhi (traduzione)

Discorso tenuto da Gandhi alla Conferenza delle relazioni interasiatiche, New Delhi, 2 aprile 1947.

Signora Presidente, amici,
non credo di dovermi scusare con voi per il fatto che sono costretto a parlare una lingua straniera. Mi chiedo se con questi microfoni la mia voce arrivi all’estremità più lontana di questo vasto pubblico. Quelli di voi che sono lontano, possono alzare le mani se sentono quello che dico? Sentite, perfetto. Bene, se la mia voce non arriva, non sarà colpa mia, sarà colpa di questi microfoni.Quello che vi stavo dicendo è che non ho bisogno di scusarmi. Non oso, se tutti i delegati che si sono riuniti qui dalla varie zone dell’Asia, e gli “osservatori” – ho imparato questa parola dalle labbra di un amico americano, che ha detto “non sono un delegato, sono un osservatore”. Pensando che lui è venuto dalla Persia […] Ed ecco che mi trovo davanti un americano, e gli ho detto “Io ho paura di te, vorrei che mi lasciassi in pace”. Immaginate che un americano mi avrebbe lasciato da solo? Non lui, e per questo dovetti parlargli. Vi stavo dicendo che la mia parlata provinciale, che è la mia lingua madre, voi non potete capirla; e io non voglio insultarvi insistendo [a parlare] in questa parlata provinciale. La lingua nazionale, l’industani, so che ci vorrà molto tempo prima che possa competere nei discorsi ufficiali. Se c’è rivalità, c’è rivalità tra francese e inglese. Per il commercio internazionale, senza dubbio l’inglese occupa la prima posizione; per le conversazioni diplomatiche e la corrispondenza, quando studiavo da ragazzo sentivo dire che il francese era la lingua della diplomazia, e che se si voleva andare da un’estremità all’altra dell’Europa bisognava provare a imparare un po’ di francese, e così provai a imparare qua e là qualche parola di francese per essere capace di farmi capire. A ogni modo, se può esserci qualche rivalità, potrebbe sorgere tra il francese e l’inglese. Quindi, dato che è l’inglese che mi hanno insegnato, naturalmente devo far ricorso a questa lingua internazionale per parlare con voi.Mi chiedevo di cosa avrei dovuto parlarvi. Volevo raccogliere i miei pensieri, ma lasciatemi confessare che non ho avuto tempo, eppure vi avevo promesso ieri che avrei provato a dirvi qualche parola. Mentre venivo con Badshah Khan, ho chiesto un piccolo pezzo di carta e una matita. Ho avuto una penna al posto della matita. Ho provato a scarabocchiare qualche parola. Vi spiacerà sentirmi dire che quel pezzo di carta non ce l’ho con me. Ma questo non è niente, mi ricordo di cosa volevo parlarvi, e mi sono detto: i tuoi amici non hanno visto la vera India, e tu non partecipi a una conferenza in mezzo alla vera India.Delhi, Bombay, Madras, Calcutta, Lahore – tutte queste sono grandi città, ormai influenzate dall’Occidente, anche costruite, forse a parte Delhi, ma non Nuova Delhi, anche costruite dagli inglesi. Ho quindi pensato a un piccolo saggio – credo che lo dovrei chiamare così – che era in francese. Mi fu tradotto da un amico anglo-francese, e lui era un filosofo, era anche un uomo modesto e disse che era diventato mio amico senza che io lo avessi conosciuto, perché lui era sempre stato dalla parte della minoranza e io ero, così è, miei compatrioti, in una minoranza senza speranza, non solo minoranza senza speranza, ma anche minoranza disprezzata. Se gli europei del Sud Africa mi perdoneranno per aver detto questo, noi eravamo tutti “coolie” [termine dispregiativo per indicare gli indiani che lavoravano come servi in Sud Africa]. IO ero un insignificante avvocato “coolie”. A quell’epoca non avevamo ‘coolie’ dottori, non avevamo ‘coolie’ avvocati. Fui il primo nel campo. Tuttavia, un ‘coolie’. Voi sapete forse cosa si intende con la parola ‘coolie’, ma questo amico – il suo nome era Krof: sua madre era una francese, suo padre un inglese – mi disse: “Voglio tradurre per te una storia francese”. Mi perdoneranno quelli di voi che conoscono la storia se nel ricordarla faccio degli errori qua e là, ma non ci saranno errori nel fatto principale.C’erano tre scienziati e questi – chiaramente è una storia di fantasia – tre scienziati andarono fuori dalla Francia, andarono fuori dall’Europa in cerca della Verità. Questa è la prima lezione che la storia mi ha insegnato, che se bisognava la ‘verità’, non andava fatto sul suolo europeo. Di conseguenza, senza dubbio neppure in America. Questi tre grandi scienziati andarono in posti diversi dell’Asia. Uno di loro riuscì ad arrivare in India e cominciò la sua ricerca. Arrivò nelle cosiddette città di quei tempi. Naturalmente, questo succedeva prima dell’occupazione britannica, prima ancora del periodo Mughal – così l’autore francese ha illustrato la storia – ma comunque andò nelle città, vide la gente della cosiddetta casta superiore, uomini e donne, finché alla fine non entrò in un’umile casupola, in un umile villaggio, e quella casupola era una casupola Bhangi – e lì trovò la “verità” di cui era in cerca, in quella casupola Bhangi, nella famiglia Bhangi, uomo, donna, forse due o tre bambini. Dico questo facendo dei cambiamenti, l’autore a questo punto descriveva come l’uomo la trovò. Tralascio tutto questo. Voglio legare questa storia con quello che voglio dirvi, che se volete realmente vedere l’India al suo meglio dovete trovarla in un’abitazione Bhangi, in un’umile casa Bhangi, o in villaggi di questo genere che, come ci insegnano gli storici inglesi, sono 700 mila. Poche città qua e là, non contengono molte decine di milioni di persone, ma i 700 mila villaggi contengono quasi 40 crore [400 milioni] di persone. Dico quasi, perché si potrebbe forse togliere un crore [circa 10 milioni], forse due nelle città, ma ce ne sarebbero ancora 38. E allora io mi sono detto, se questi amici sono qui senza trovare la loro vera India, che cosa ci sono venuti a fare? Quindi ho pensato di chiedervi di immaginare quest’India, non dalla prospettiva che offre questo vasto pubblico ma di immaginare come sarebbe. Vorrei che leggeste una storia come questa dei francesi o altre cose. Guardate, forse qualcuno di voi, alcuni dei villaggi dell’India, e allora troverete la vera India. Oggi confesserò anche che non sarete affascinati dalla vista.Dovrete andare a grattare sotto quei mucchi di letame che sono oggi i villaggi. Non pretendo di dire che prima fossero luoghi di paradiso. Ma oggi sono davvero mucchi di letame; non erano così, prima, di questo sono certo abbastanza. Perché non parlo dal punto di vista storico, ma a partire da quello che ho visto con i miei occhi in carne e ossa, dell'India - e ho viaggiato da un'estremità dell'India all'altra, ho visto questi villaggi, ho visto quei miseri esemplari dell'umanità, occhi spenti - eppure loro sono l'India, eppure in quelle misere casupole, tra quei mucchi di letame si trovano gli umili Bhangi, dove si troverà un'essenza concentrata di saggezza. Come? Questa è una bella domanda.Bene, allora voglio mettervi di fronte a un'altra scena. Di nuovo, io ho studiato dai libri, libri scritti dagli storici inglesi, tradotti per me. Tutta questa copiosa conoscenza, mi dispiace dirlo, arriva a noi in India attraverso libri inglesi, attraverso storici inglesi. Non che non abbiamo storici indiani, ma anche loro non scrivono nella loro lingua madre, o nella lingua nazionale, l'industani, o se preferite definirle due lingue, l'hindi e l'urdu, due forme della stessa lingua. No, ci danno quello che hanno studiato nei libri inglesi, magari negli originali, ma sempre inglesi e in lingua inglese - questa è la conquista culturale dell'India, che l'India ha subito. Ma ci dicono che la saggezza è arrivata all'Occidente dall'Oriente. E chi erano questi uomini saggi? Zoroastro. Lui apparteneva all'Oriente. È stato seguito da Buddha. Apparteneva all'Oriente, apparteneva all'India. Chi ha seguito Buddha? Gesù, ancora una volta dall'Asia. Prima di Gesù c'era Mosa, Mosè, anche lui appartenente alla Palestina - ho controllato con Badshah Khan e Yunus Saheb, ed entrambi mi hanno confermato che Moses apparteneva alla Palestina, nonostante fosse nato in Egitto. E poi è venuto Gesù, e poi è venuto Maometto. Tutti questi li tralascio. Tralascio Krishna, tralascio Mahavir, tralascio le altre luci - non le chiamerò luci più flebili, ma sconosciute all'Occidente, sconosciute al mondo letterario. Anche così, non conosco una sola persona capace di eguagliare questi uomini dell'Asia. E poi, cosa è successo? Il cristianesimo è stato sfigurato quando ha raggiunto l'Occidente. Mi dispiace doverlo dire, ma questa è la mia interpretazione. Non vi imporrò oltre questi temi. Vi racconto questa storia per incoraggiarvi, e per farvi capire, se il mio povero discorso può farvi capire, che quello che vedete dello splendore e di tutto ciò che le città dell'India hanno da mostrarvi non è l'India. Certamente, la carneficina che avviene proprio sotto i vostri occhi, mi dispiace, vergognoso che sia, come ho detto ieri, dovete seppellirla qui. Non portate il ricordo di questa carneficina oltre i confini dell'India. Ma quello che voglio che capiate, se potete, è che il messaggio dell'Oriente, il messaggio dell’Asia, non può essere imparato attraverso gli occhiali dell'Occidente, attraverso gli occhiali occidentali, non imitando i fili argentati dell'Occidente, la polvere da sparo dell'Occidente, la bomba atomica dell'Occidente.Se volete di nuovo dare un messaggio all'Occidente, deve essere un messaggio di 'amore', deve essere un messaggio di 'verità'. Ci deve essere una conquista (APPLAUSI), per favore, per favore, per favore. Questo interferirà con il mio discorso, e interferirà anche con la vostra capacità di comprenderlo. Voglio catturare i vostri cuori, non voglio ricevere i vostri applausi. Fate battere i vostri cuori all'unisono con quello che dico e, credo, avrò compiuto il mio lavoro Perciò voglio che ve ne andiate da qui con il pensiero che l'Asia deve conquistare l'Occidente. Poi, la domanda che mi ha chiesto ieri un amico: se credessi davvero in un mondo unito. Certo che credo in un mondo unito. E come potrei fare altrimenti, se sono un erede del messaggio d'amore che questi grandi, irraggiungibili maestri ci hanno lasciato? Potete portare ancora quel messaggio, adesso, in questa epoca di democrazia, in questa epoca di risveglio dei più poveri tra i poveri, potete portare di nuovo questo messaggio con la più grande enfasi. Allora voi, voi compirete la conquista dell'intero Occidente, non per vendetta del fatto che siete stati sfruttati - e nello sfruttamento, naturalmente, voglio includere l'Africa, e spero che la prossima volta che vi incontrerete in India, ci sarete tutte; che voi nazioni sfruttate della terra vi incontrerete insieme, se a quell'epoca ci saranno ancora nel mondo nazioni sfruttate. Sono così fiducioso che se metterete insieme i vostri cuori, non soltanto le vostre teste, ma i vostri cuori insieme, e capirete il segreto del messaggio che questi uomini saggi dell'Oriente ci hanno lasciato, e che se noi davvero diventiamo, meritiamo e siamo degni di quel grande messaggio, allora capirete che la conquista dell'Occidente sarà completa, e che lo stesso Occidente amerà quella conquista. Oggi l'Occidente anela alla saggezza. Oggi l'Occidente è disperato per la proliferazione delle bombe atomiche, perché una proliferazione delle bombe atomiche significa terribile distruzione, non soltanto per l'Occidente, ma sarà una distruzione del mondo intero, così che la profezia della Bibbia si avvererà e ci sarà un vero e proprio diluvio universale. Non voglia il cielo che ci sia quel diluvio, e non per i torti dell'uomo contro se stesso. Sta a voi liberare il mondo intero, non solo l'Asia, ma il mondo intero, da quella malvagità, da quel peccato. Questa è la preziosa eredità che i vostri maestri, i miei maestri ci hanno lasciato.

mercoledì 13 agosto 2008

La regina

Come poteva essere la fine del mondo?
Era un giorno come tutti gli altri. Nulla lasciava prevedere cosa in realtà sarebbe accaduto. La fine del mondo reale-apparente. Sarebbe crollata ogni illusione si sarebbe frammentato il nostro cervello e tutto quello che non sarebbe servito sarebbe stato gettato via. Chi l’aveva deciso? La Regina naturalmente. E’ sempre lei che decide tutto, lei costruisce e lei disfa. Mi domando chi veramente sia questa regina. La donna dai mille poteri, la donna capace di trasformare le vite. Un'altra domanda…..Ma è una donna o cosa?
Nessuno lo saprà mai. Lei vive nel suo castello e da li non esce. Nessuno è mai entrato in quella fortezza, nessuno a mai sentito il suo profumo. Forse lei non ha profumo!?
Comunque sia il suo potere lo conoscono in tanti. Lei è colei che decide il destino di molti. Lei è colei che guida gli eletti, lei è la forza, lei è il controllo, lei non è l'amore.
Io l’ho sentita la sua mano toccarmi. Ho sentito la sua presenza pervadere il mio corpo, ho sentito il vigore crescere dentro di me, ma nonostante questo sono sola. Gli altri non si accorgono di lei, la evitano, la rifiutano perché non sono in grado di capire. Sono esseri piccoli ma forse fortunati. Il privilegio è un arma a doppio taglio.
La consapevolezza uccide le illusioni, ti lascia senza sogni, ti lascia vuota come un sacco. Ti accasci giù ma in compenso se ci riesci puoi riempirti e allora staresti su dritto. Riempirsi è il grande problema. Bisogna riempirsi di cose vere, valide. Ma cosa è la verità? e chi ci garantisce su di essa? Il presente garantisce ma il futuro può confutare il tutto. Questo sacco si riempie e si svuota in continuazione. E noi poveri eletti dobbiamo andare avanti tra vuoti e incertezze.
La Regina però ci ha scelti. Siamo noi i prototipi della nuova umanità, siamo noi gli esseri del futuro. Il mondo sta per finire e con noi sta per rinascere. Noi siamo un esperimento.

venerdì 1 agosto 2008

La scatola

Era in vetrina…la guardò per un po’ e poi si fece coraggio e decise di entrare. Avvicinò un commesso un tipo magro con gli occhialetti che sembrava un bancario più che un venditore di giocattoli. “ scusa signore” disse il bimbo con un filo di voce “potrei per favore vedere il giocattolo che è in vetrina”… .
Il commesso scrutò il bambino domandandosi dove fossero i suoi genitori. Si avvicinarono alla vetrina e il bambino con il cuore in gola per l’entusiasmo indicò al ragazzo la scatola in questione.
Aveva visto e posseduto tanti giochi in vita sua, ma quello aveva sicuramente qualcosa di speciale.
Il commesso prese la scatola e la porse al bimbo raccomandandosi di non rovinarla.
La confezione era tutta azzurra. Sembrava proprio un pezzo di mare in scatola.
Il bimbo cominciò a farsela girare tra le mani non sapendo bene cosa farci. Era così curioso di vedere cosa ci fosse dentro ma purtroppo la scatola era incartata con il cellophane e non si poteva aprire. Avrebbe voluto fare mille domande al commesso ma la sua timidezza gli faceva ingoiare ogni parola.
Stette cosi per qualche minuto e poi a malincuore riconsegnò la scatola al venditore "grazie infinite" disse ed usci dal negozio. Dalla vetrina vide il venditore riporre la scatola al suo posto. Gli diede l’ultima occhiata e proseguì verso casa.
Per qualche giorno il pensiero era spesso fisso a quella vetrina. Se solo avesse potuto aprirla un pochino magari non ci sarebbe stato a pensare così tanto, se solo la sua timidezza non gli avesse impedito di fare domande.
Con il passare del tempo quella scatola divenne un pensiero occasionale ma quando arrivava era così intenso che ogni volta gli faceva rivivere le stessa sensazione provate tempo prima al negozio. Di tanto in tanto passava davanti alla vetrina per assicurarsi che ci fosse ancora. Era sempre lì, azzurra come il mare.
Il tempo passò…finì la scuola elementare si godette l’estate e fu iscritto alla scuola media. Nuova classe, nuovi amici, nuovi professori, nuovi traguardi e un gran senso di inadeguatezza.
Il primo anno fu un travaglio. Una gran sofferenza, non si riusciva proprio ad abituare, tutto gli sembrava difficile. Si sentiva piccolo piccolo ma proiettato in un mondo di grandi al quale sentiva di non appartenere.
Ci provò con tutte le sue forze. Cadeva e si rialzava, delle volte rimaneva a terra più a lungo altre si rialzava subito. Piangeva, rideva e si faceva forza perché in fondo sapeva che prima o poi ce l’avrebbe fatta. Di tanto in tanto passava davanti a quella vetrina. Era sempre lì.
Un anno passò, passò l’estate e le cose sembravano pian piano essere più semplici.
Il nuovo anno scolastico iniziò con uno spirito nuovo. Fiducia, più sicurezza e più maturità. Stava diventando grande.
Qualche mese ancora passò.
Un giorno, fu invitato a casa di un suo compagno a fare i compiti.
Tornò a casa, mangiò qualche cosa e molto contento prese lo zaino, le chiavi e uscì sbattendo fragorosamente la porta.
A pranzo era spesso solo a casa, come del resto per la maggior parte del tempo. Aveva dovuto imparare molto presto ad essere auto sufficiente la sua situazione famigliare glielo imponeva.
Nel suo piccolo considerava questa estrema indipendenza una gran fortuna. Faceva quello che voleva e nessuno lo controllava. Non è che si approfittasse troppo di questa libertà, anzi la gestiva da vero ometto ricevendo spesso molti complimenti dalle mamme dei suoi amici. Solo molti anni dopo si ritrovò a scontare con il suo dolore i danni subiti da ciò che per tanto tempo aveva considerato una fortuna.
Il suo amico non abitava molto distante. Era a due isolati e il sole rendeva la passeggiate assai gradevole.
Arrivò al portone suonò e una voce di donna rispose invitandolo a salire. “….È bello essere accolto da una mamma….”Pensò “…..ma che palle deve essere averla sempre tra i piedi……”
Salì le scale. Il suo amico lo stava aspettando sulla porta di casa, entrò e insieme si diressero in cameretta. La casa era invasa dal profumo di ciambellone appena sfornato che molto probabilmente sarebbe stato la loro merenda.
Si sistemarono sulla scrivania in modo tale da sbrigarsi a fare i compiti e dedicare così il pomeriggio a giocare.
Matematica, Italiano, Inglese, Geografia. FINITO!!
Ora si potevano svagare.
Il suo amico aprì l’armadio dei giochi per prendere il pallone ed improvvisamente tra le cianfrusaglie varie il bambino notò qualche cosa che catturò la sua attenzione. Il pezzo di mare in scatola. Non poteva credere hai suoi occhi, finalmente avrebbe potuto placare la sua curiosità che si portava ormai dietro da anni.
Aveva fantasticato molto su quella cosa ed ora che era li davanti a se non sapeva bene cosa fare e cosa aspettarsi. “La tocco o no”, “la apro o no”, “svelo il mistero o lascio tutto come era”. Domande su domande ronzavano nella sua testa e una strana forma di ansia lo stava invadendo. Il suo amico si accorse del cambiamento e rimase a guardarlo per un attimo senza capire cosa stesse succedendo. “Tutto bene?” gli domando, “si si tutto ok perché?” rispose il ragazzo, “ nulla è solo che ti vedo diverso” ribbattè l’amico. La discussione si interruppe lì e l’amico continuò a cercare la palla che in mezzo a quella confusione non riusciva a trovare. Smuovendo tra le cose improvvisamente la scatola cadde rovesciandosi a terra. Si aprì lievemente lasciando intravedere qualche cosa al suo interno. Il bambino cercò di sbirciare dentro ma si sentiva stranamente imbarazzato. Avrebbe voluto avere più tempo ma proprio mentre si decise ad avvicinarsi il suo amico la raccolse, la richiuse e la ripose. Forse era stato intenzionale il gesto frettoloso dell’amico o magari il destino non aveva ancora voluto concedergli questa possibilità.
Il fatto è che non voleva mica possederla, non gli interessava che la scatola non fosse la sua, e non gli interessava che fosse in un’altra casa, era solo curioso e stranamente attratto. Avrebbe solo voluto avere la possibilità di aprirla e concedersi la possibilità di scoprire cosa ci fosse dentro e magari, passare un po’ di tempo a giocarci piacevolmente di tanto in tanto.

Il pulcino

C'è un pulcino, che disperato si aggirava tra le galline del pollaio piangendo e struggendosi dal dolore. Si guarda in giro spaventato ma evita di avvicinarsi agli altri pur desiderandolo ardentemente. Ma per cosa mai si sta disperando a tal punto? La questione è molto delicata e nessuno nel pollaio osa contraddire il pulcino anche se forse in cuor loro molti vorrebbero fare qualche cosa. Il pulcino triste si dispera perché è convinto di non essere un semplice pulcino ma qualcosa di molto superiore che però ancora non riesce bene a comprendere e non capisce per quale motivo si trova in un pollaio. Gli abitanti del pollaio che hanno molto rispetto del pulcino in quanto lo considerano molto intelligente e sensibile cercano in tutti i modi di avvicinarsi a lui per consolarlo e fargli sentire il loro calore. Nessuno osa però metterlo realmente di fronte al fatto concreto. Nessuno gli urla in faccia la cruda realtà:"TU SEI UN PULCINO E NON PUOI ROMPERE IN ETERNO: RILASSATI E GODITI TE STESSO"
Il piccolo pulcino in preda al suo delirio continua a tormentarsi. Scaccia chiunque osi intralciare il suo cammino e chiunque provi a ricordargli quale è la realtà. Nonostante queste stravaganze il pulcino è molto amato, ha molti amici sinceri e tante pulcine pronte a condividersi totalmente con lui, il pulcino però, nel suo profondo, si sente solo.

Dovrà fronteggiare da solo il suo problema, passerà un po’ di tempo ma alla fine il pulcino triste capirà e prenderà coscienza della realtà e imparerà a viverla. Il pulcino si sentirà finalmente un pulcino tra i pulcini. Questo non vuol dire che sarà uguale agli altri ma come gli altri, il fatto di essere stesso lo distinguerà.
Ognuno di noi è un essere umano ma un essere umano unico e irripetibile e per questo diverso da chiunque altro.