Terra di Simplipam

Il regno a mia immagine e somiglianza.

mercoledì 20 agosto 2008

Il guado

La vita è come un guado. E’ utopico pensare che ci sarà un fine cosciente a questo attraversamento. L’intera vita è un guado e solo la morte ci farà toccare le sponde. La morte sarà il momento in cui ci sarà consentito riposare.
Ora la questione è: che fare durante questo tortuoso attraversamento?
Credere che si potrà decidere di lasciarsi andare solo quando le correnti saranno superate e tutto sarà calmo oppure aspettare la morte per cominciare a vivere. Se si crede in un ipotetico aldilà allora si è giustificati quando si sceglie di no vivere la vita terrena come merita di essere vissuta. Io nell’aldilà non credo ma credo anzi che il mio paradiso sia questa esistenza, unica cosa sicura, quindi devo cercare di vivere come meglio posso nel rispetto di me stessa e degli altri.
E’ proprio ora che arriva il difficile, attraversare questo guado con tutte le sue correnti, i suoi pericoli i suoi tranelli senza affogare. Morire affogati in queste acque, travolti da una corrente che non si è riuscita a superare non significa riposare. Significa essere dei perdenti, degli omuncoli che non sono stati in grado di apprezzare il dono che il caso gli a fatto: la vita.
Adesso torniamo a questo benedetto guado che bada bene non è affatto cosa semplice.
Si nasce e così si viene buttati tra le sue acque, durante il primo tratto dell’attraversamento se si è fortunati si viene sorretti da quattro braccia forti che ci proteggono dai pericoli e ci danno le basi per poter un giorno proseguire il percorso da soli. Avere questa fortuna non è cosa frequente. Spesso le braccia sono due e non è detto che siano forti. Altre volte potrebbero non esserci braccia o esserci di tanto in tanto. Insomma si nasce nell’incertezza del nostro futuro anche prossimo.
Nel mio caso questo primo tratto l’ho attraversato con quattro braccia che però non mi sorreggevano mai insieme. Erano due coppie di braccia molto diverse, una si è improvvisata forte e a modo suo per un certo periodo mi ha sorretto anche se più di qualche volta mi ha fatto bere un sacco di acqua, l’altra era bisognosa essa stessa di essere sorretta ma ha sempre negato a se stessa questa possibilità. Aveva tanto bisogno di essere sostenuta che figuriamoci se poteva sostenere me. A modo suo ci provava ma alla fine non ci riusciva mai e io bevevo. Sono arrivata a credere che questo bere fosse normale e mi sentivo anche in colpa quando manifestavo il bisogno ad altri di essere tenuta a galla. Allora che ho fatto…in fretta e furia ho imparato a nuotare da sola sull’esempio mischiato delle quattro braccia che vi ho appena presentato. La tecnica non era delle migliori e per quel che mi è stato possibile ho fatto modifiche che in qualche modo potessero compensare le carenze. Il risultato mi ha permesso di non affogare. Per un lungo periodo ho pensato che fosse cosa giusta continuare ad appoggiarmi a quelle strane braccia che mi hanno buttato in acqua e soffrivo immensamente quando mi accorgevo che il loro aiuto non mi salvaguardava dall’andare a fondo. Le pensavo forti e coraggiose e mi è stato veramente difficile abbattere questa convinzione. Ho dovuto far piazza pulita della maggior parte delle mie credenze e cominciare pian piano a riedificare il tutto. Ora che penso?
Quelle quattro braccia poverine hanno fatto quel che il loro essere gli ha permesso di fare. Hanno tanti limiti e difetti ma anche tanti pregi, io dal canto mio ora li riconosco nella loro totalità e non li idealizzo più evitando così di appoggiarmi ad un idealizzazione che e rischiando di andare giù. Li ho accettati per poter finalmente cominciare subito dopo ad accettare me stessa con limiti e possibilità.
Ora in questo tortuoso guado nuoto delle volte con difficoltà altre volte in piena serenità.
Spesso dentro di me continua ad esserci il desiderio di appoggiarmi a braccia forti e capita di cadere nell’errore di idealizzare anche braccia nuove e trovarmi poi a bere nuovamente. Il bisogno di volersi appoggiare a qualcuno fa parte della nostra natura e non dobbiamo soffocarlo. Quello che è necessario fare è guardare quelle braccia per quel che sono e non per quel che vorremmo che fossero e solo quando se ne saranno riconosciuti i difetti e i pregi, senza idealizzazioni varie, si ci potrà fermare a pensare se è il caso di darsi la mano e sorreggersi a vicenda pur continuando ad avanzare con le nostre forze. Non ci si appoggia ma si raddoppia la forza diventando una entità a due motori distinti ma che proseguono insieme. E’ così che sarebbe più incoraggiante pensare di poter affrontare le mille peripezie che questo fiume ci proporrà e se un giorno le altre braccia decidessero di continuare da sole l’attraversamento noi dobbiamo essere capaci di fare altrettanto anche nel caso in cui la riva si trovasse per il nostro compagno a meno distanza dalla nostra. Anche se fosse la morte a dividerci.Ora di braccia che ci aiutano ne potremmo avere tante altre oltre quelle del nostro compagno di vita, ci sono gli amici, i parenti ed altro ancora e in alcuni momenti la certezza di queste altre braccia ci può essere di conforto quando le correnti imperviano o di compagnia quando le acque tornano serene. Ma le uniche braccia sulle quali dobbiamo imparare a contare sono le nostre. Loro ci saranno sempre quando ne avremo bisogno e riconoscere la loro forza è il primo passo per riuscire ad avere in loro fiducia. Loro sorreggeranno le nostre debolezze, le nostre paure, ci faranno sentire Dio quando questo possa servire a stare a galla meglio. L’importante e che la divinizzazione di noi stessi sia circoscritta e limitata e si possa così tornare a riconoscersi esseri umani con tutti i limiti che questo comporta ma anche con tutti i piaceri che solo così potremmo imparare ad apprezzare ed a sentire. Il giusto equilibrio bisogna trovare e solo così si potrà riuscire a stare a galla evitando inutili annegamenti

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